Ex Cattedrale Santa Maria delle Grazie

Località: Massa centro

L’antica cattedrale di Santa Maria delle Grazie e l’annesso palazzo vescovile caratterizzano, con le loro eleganti linee settecentesche, la piazza di Massa Lubrense, città che fu sede vescovile fin dall’XI secolo: solo con il Concordato del 16 febbraio 1818 tra il Re di Napoli e la Corte Romana, insieme alle diocesi di Vico e Capri, venne incorporata all’Arcidiocesi Sorrentina.

La posizione

La collocazione della Cattedrale seguì, di pari passo, l’alternarsi delle varie e complesse vicende storiche cittadine: ospitata dapprima nella chiesa paleocristiana di Fontanella (a Marina Lobra), fu poi trasferita all’interno delle mura, nel Casale dell’Annunziata, per ragioni di sicurezza.

La distruzione del “Corpus Civitatis” nel 1465, da parte di Ferrante II causò un ulteriore spostamento della Cattedrale, che per un breve periodo ritornò nella chiesa di Fontanella: questo edificio ecclesiale doveva, però, ritrovarsi in condizioni di grave abbandono, tant’è che nel 1489, mentre erano già iniziati i lavori di restauro, il vescovo Giacomo Scannapeco si trasferì nel casale di Schiazzano.

Solo agli inizi del ‘500 si iniziò a vagheggiare l’ipotesi per la “costruzione” di una nuova chiesa, da destinare a sede di cattedrale: come località fu preferita, tra l’opposizione dei cittadini dei casali più alti, il sito denominato in antico “Palma” (dove viveva l’omonima famiglia aristocratica), per la sua vicinanza con il nuovo centro politico ed amministrativo di Massa, Guarazzano.

Il luogo fu scelto anche per la presenza dell’estaurita di Sant’Erasmo, una piccola chiesetta fondata e mantenuta da una confraternita che l’aveva dedicata al primo patrono di Massa Lubrense: il 25 marzo 1512 Mons. Geronimo Castaldo, con tutto il clero ed i rappresentanti della Città, presenziarono alla “cerimonia della posa della prima pietra”. Dopo lunghi e complessi lavori, la chiesa fu solennemente “inaugurata” nel 1543: mons. Pietro Marchesi, in una solenne cerimonia, la dedicò alla Madonna delle Grazie.  

Rifazioni e restauri

I vari Vescovi che si alternarono nella diocesi, apportarono numerose rifazioni e restauri all’intero edificio: mons. Maurizio Centino (1626 – 1632), infatti, nel 1628, sistemò l’organo sulla porta maggiore della chiesa, eresse l’elegante pulpito ligneo e condusse alcuni interventi di restauro.

Continuarono la sua opera Mons. Giovan Vincenzo De Juliis (1645 – ‘72), mons. Giovan Battista Nepita (1685 –1701), mons. Giacomo Maria De Rossi (1702 – ‘38), ed, infine, mons. Giuseppe Bellotti (1757 – 1788), che non solo introdusse le maggiori trasformazioni all’originario impianto ma provvide, anche, alla costruzione dell’Episcopio stesso sulle fondamenta di un antico e fatiscente edificio preesistente.

La chiesa attuale, quindi, è il risultato di tutta le serie di interventi di rifacimento e di adattamento condotti nel corso dei secoli, con la principale regia di Mons. Giuseppe Bellotti, che preannuncia il suo operato già con l’apposizione del suo stemma sull’ingresso principale dell’edificio.

E l’interno pullula di richiami “bellottiani”, testimonianti la forte attività ammodernatrice del Vescovo che ebbe profondi legami con la napoletana Fabbrica dei Chiajese: il suo stemma gentilizio“di azzurro al leone di oro rampante ad un albero verde, con quattro colombe annidate sulla cima” è riprodotto un po’ ovunque: come cimasa dei confessionali lignei, elemento di raccordo per le volute poste a decorazione della due splendide acquasantiere dalla caratteristica vasca a conchiglia poggiante su di un piccolo basamento, fulcro centrale del bellissimo pavimento maiolicato messo in opera dall’abile mano di Ignazio Chiajese, tra il 23 aprile ed il  7 giugno del 1780, e sostituito da una fedele riproduzione nel 1970 voluta da don Costanzo Cerrotta e don Giuseppe Esposito.

Capitelli a foglie di acanto dominano le lesene poste a decorazione dei pilastri, fornendo all’impianto una leggera ariosità interrotta dall’innesto del pulpito “bellottiano” in pietra arenaria, addossato alla pilastrata destra. Quattro colonne scanalate reggono la base poligonale, sormontata da un baldacchino ligneo.

La profonda conca absidale, la cui calotta è decorata con semplici specchiature a stucco, ospita l’altare maggiore: quest’opera, scrivibile sempre al periodo “bellottiano”, presenta un impianto, prettamente settecentesco, articolato su tre scalini: al di sotto della mensa la decorazione in marmi policromi è dominata al centro da una croce a rilievo e negli angoli alla base dagli stemmi del Bellotti. Allo stesso Vescovo napoletano si deve, inoltre, la realizzazione della cattedra, poggiante su di una predella a tre scalini, in marmi policromi, uniti in ambo i lati da una lastra marmorea che “srotolandosi” genera dei cartigli. Alla base della cattedra una epigrafe sormontata dallo stemma, inciso su una lapide, indica il sepolcro di mons. Giacomo Maria De Rossi.

Il presbiterio

Il presbiterio, rialzato rispetto al piano di calpestio delle navate, è, ancora oggi, decorato con l’antico pavimento maiolicato, seppur in uno stato di conservazione precario: a destare preoccupazione contribuisce il continuo calpestio che, soprattutto nella cosiddetta cappella dei “marinai”, rischia di far sparire una delle ultime raffigurazioni di “Porta di Massa” a Napoli, luogo di approdo e arrivo quotidiano di tutti i massesi che nel passato commerciavano con la capitale.

I dipinti

Molti dei dipinti conservati all’interno della ex cattedrale testimoniano quello che era il grande fervore artistico presente nel territorio lubrense tra il XVI e XVII secolo, che si trova ad accogliere esperienze pittoriche ragguardevoli rispetto a ciò che avveniva della capitale partenopea, all’interno di prestigiosi contesti.

Esempio lampante di tali affermazioni sono sia la tavoletta raffigurante la Madonna delle Grazie, sita sull’altare maggiore ed opera datata al 1527 del pittore Marco Cardisco, che la tavola del Battesimo di Cristo databile al 1590 e attribuibile a Girolamo Imparato, noto pittore napoletano che portò a Massa le esperienze della pittura fiamminga di Teodoro d’Errico!

Oltre queste sono molte le opere conservate nella ex cattedrale e databili al XVI secolo, per tanto riferibili alla prima sistemazione decorativa dell’edificio: La Madonna di Costantinopoli con i Santi e Andrea e Stefano (sita nella seconda arcata del transetto sinistro), attribuita a Leonardo Castellano; le tavole raffiguranti Santa Lucia e San Leonardo, oggi nella Cappella di San Giuseppe (o anche detta dei “marinai”), a destra dell’abside, ma un tempo facenti parte di un polittico esposto nell’attuale cappella di San Cataldo.

La sacrestia

Ma i gusti decorativi cambiarono, i terremoti lasciarono i loro segni, causando una serie di lavori di rifacimenti e restauri, le ambizioni dei vescovi che si alternarono e il desiderio di affermazione di molte famiglie locali determinarono l’attuale apparato decorativo della chiesa, che ha nella grande sacrestia il suo elemento di unicità.

Realizzata sempre durante le sistemazioni bellottiane conserva al suo interno una delle più grandi e dettagliate “gallerie” vescovili del Mezzogiorno: le pareti, infatti, sono adorne dei ritratti dei Vescovi che ressero la cattedra lubrense inseriti in cornici ovali sormontati da un cartiglio riportante il nome e le date di inizio e fine del “mandato”, mentre nell’altarino ligneo (risalente al’600) si conserva un busto reliquiario di San Gennaro.